7 ottobre 2013

Il gran ballo dei pretendenti

Le prime sette giornate della Serie A sembrano avere stabilito - probabilmente in via definitiva - la griglia delle pretendenti al titolo. Sono tre: la Juve campione, Roma e Napoli. Il Napoli era atteso a questa parte, la Roma no. Entrambe hanno cambiato allenatore, ingaggiandone - rispettivamente - uno di fama  mondiale (Benitez) e uno (Garcia) che in Francia aveva portato al vertice il Lille, sollevandolo da un'aurea mediocrità. E così, mentre Conte appare nelle conferenze stampa sempre più incerto circa l'immagine che vuole dare di sé (un uomo tranquillo? depresso? compresso?), la sua Juve appare sempre più compassata, lenta, incapace di variare ritmo e di esplodere il suo proverbiale furore agonistico. Niente più pressing. Manovre scontate, e il solo Tevez a cercare la giocata che fa saltare il tavolo. Questa rosa di giocatori, evidentemente, ha già dato il massimo e ora amministra (con esperienza e distrazioni) il declino, tra vittorie striminzite, vittorie immeritate, pareggi impronosticati.

Il Napule viaggia verso un lento assestamento, il turn-over sistematico è utile a Benitez anche per una scrematura in prospettiva (quella di una squadra che deve rimanere al vertice con continuità), e solo per caso non è a punteggio pieno come la Roma: per via di un pareggio interno con il Sassuolo del tutto estemporaneo - e occorso dopo la sbornia della prima in Champions, cioè dopo aver rimandato in Prussia scornata la banda di Klopp.

La Roma ha portato una maggiore freschezza di gioco, e un modo nuovo di giocare. Difesa molto bloccata (grande, grandissimo acquisto quello di Benatia, il miglior difensore centrale del campionato), rinforzata all'occorrenza De Rossi, capace di sdoppiare le proprie mansioni (ecco uno che a Pozzo sarebbe piaciuto tantissimo); centrocampo di grande qualità, e due incursori esterni di rara velocità. Gervinho sembra avere a Roma l'impatto esotico-estetico che ebbe Gullit a Milano un quarto di secolo fa; naturalmente non lo vale, ma le sue cavalcate entusiasmano il pubblico e scardinano le difese altrui. Che ciò sia sempre propedeutico a iterati e colossali sprechi, lo vedremo. Per ora non è così. E c'è poi il simbolo contemporaneo dell'Urbe, l'eterno Pupone, che di questo passo smetterà di giocare dopo il successore designato (Capitan Futuro). Totti gioca nelle zone di campo che lui medesimo sceglie, ed essendo dotato di  fosforo - oltre che di una classe - inarrivabile regala a ogni partita pezzi del suo repertorio migliore. Finora, la miscela è stata davvero esplosiva. Chi ha visto le partite della Roma non può che esserne rimasto appagato; anche quando ha apparentemente sofferto, come a San Siro. A San Siro, il contropiede del terzo gol (in pochissimi secondi la palla è transitata dall'area della Roma all'interno della porta difesa da Handanovich) è da tenere in memoria, poiché da anni non se ne vedeva uno così.

Speriamo, in sostanza, che la Roma duri. E che, insieme alle altre, dia finalmente vita a un campionato vivo, appassionante e con sprazzi di grande gioco.

Mans