15 dicembre 1998, Firenze.
Fiorentina-Juventus 1-0: al 58' Batistuta
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Si tolleri la citazione dantesca
del titolo: quindici anni dopo, il calcio regala, finalmente, un'emozione. Un
campionato prodigo di cori razzisti, polemiche, scontri, violenza e diritti tv,
la «grande macchina» montaliana di denaro, scommesse, ingaggi e disingaggi (Trentadue variazioni, 1973), ogni tanto
genera un fiore. Un giglio, stavolta. Il 15 dicembre 1998 Lulù Oliveira dalla
trequarti di sinistra serviva un traversone, apparentemente innocuo, per la
testa di Gabriel Omar Batistuta. La catatonia di Igor Tudor, vigoroso centrale spalatino
dei bianconeri, abbandonava Peruzzi, solo ed inerme, alla mercé dello spietato goleador di Reconquista. Uno a zero,
ennesima zampata del Re Leone, the one
and only, non la sbiadita copia basca ammirata ieri in maglia bianconera
che risponde al nome di Fernando Llorente Torres.
20 ottobre 2013, Firenze Fiorentina-Juventus 4-2: l'incredula esultanza dei viola |
Il campioncino
italo-americano è tutto fuorché un personaggio: discreto, silenzioso, umile,
timido, lontano dal glamour e dalla
mondanità. Papà di Fraine, nell’Alto Vastese, mamma di Acquaviva di Isernia.
Non eravamo più abituati a calciatori del genere, senza l'ormai insostituibile
corteo di modelle, notti in discoteca, sfuriate in campo, creste e vezzi da superstar. Ma, citando Pasolini, «il capocannoniere di un campionato è sempre il miglior poeta dell’anno» (Il calcio “è” un linguaggio con i suoi poeti e prosatori, 1971).
Guardando Rossi palleggiare nel riscaldamento prepartita, si riscopre quella poesia, la passione pura per il calcio; in quegli sfoggi di destrezza lo vediamo retrocedere romanticamente all'infanzia, lontano dai danarosi contratti e dalle prime pagine dei tabloids e del gossip più becero. A quell'infanzia ci accompagna, nella sua semplicità: quando anche noi sognavamo, in strade di quartiere mal asfaltate, di calcare palcoscenici prestigiosi con indosso la casacca della propria squadra del cuore. La degna cornice del Franchi coccola il suo anti-campione: è il piacere di calciare un pallone, è ciò che fa sperare, anche se invano, che in fondo è ancora, solo, calcio. Il rito, la rappresentazione sacra, il simulacro, il teatro, la gioia, l'inganno. Come diceva il Trap, «il pallone è una bella cosa, ma non va dimenticato che è gonfio d'aria».
Duca
Fraine (Chieti). Rossi nel paese d'origine del padre Fernando, scomparso nel 2010 |
Duca