4 dicembre 2012

Un discorso brasiliano

Dobbiamo ringraziare Arthur Antunes Coimbra per aver concesso nuovamente i warholiani 15 minuti di notorietà mediatica a una delle più belle partite della storia delle coppe del mondo, ergo della storia del football: Italia-Brasile 3:2 del 5 luglio 1982. Con le sue dichiarazioni alla Soccerex Global Convention 2012 [vedi], Zico ha consentito di spezzare per qualche ora l’ininterrotto vociare della pedata nazionale su torti arbitrali e sudditanze psicologiche, costringendo i cronisti ad alzare il cellulare per interpellare qualche vecchio reduce di quel memorabile match. Prendiamo allora – come suol dirsi – la palla al balzo, e gettiamo in rete qualche considerazione di contesto e qualche coriandolo di memorie.

Arthur Antunes Coimbra in una partita del Mundial 1982
Cosa ha detto esattamente Arthur Coimbra? Andando alle fonti [vedi], individuiamo due ordini di discorso. Da un lato, un giudizio storico negativo: “If we had won that game, football would have been different. Instead, we started to create football based on getting the result at whatever cost, football based on breaking up the opposition's move, and based on fouling the opposition. That defeat for Brazil was not beneficial for world football. If we had scored five goals that day, Italy would have scored six as they always found a way of capitalising on our mistakes”. Dall’altro, una constatazione sullo stato attuale del calcio brasiliano (dal quale, si noti, Zico è “in esilio asiatico” ormai dal 1991): “Brazil is a fertile land for players but we have to change the mentality in the junior divisions of the clubs. I'm sure that if I went for a trial at a football club today, I would be rejected for being thin and small. You don't see Romario-type forwards in the youth divisions, (the centre forward) is always a big guy. That's where the deterioration of Brazilian football begins. Clubs are worried about winning titles in the junior categories, rather than developing players”.

Se si legge con attenzione, Zico traccia un nesso tra la sconfitta del Brasile 1982 e la successiva tendenza culturale del suo futebol a privilegiare il risultato attraverso giocatori fisici rispetto alla formazione di calciatori di qualità tecnica. È un discorso di carattere generale ma che ha come destinatario principale il movimento calcistico brasiliano, in un frangente difficile, all’indomani dell’inopinato esonero del CT della nazionale Mano Menezes che aveva faticosamente intrapreso un percorso di rinnovamento qualitativo della Seleção affidandosi ad alcuni giovani, talentuosi ma non ancora maturi, giocatori. Nei giorni in cui Zico ha rilasciato le sue dichiarazioni la scelta del successore di Menezes era ancora aperta a varie soluzioni, la più fantomatica  delle quali era la candidatura di Pep Guardiola, che avrebbe dato vita a una delle sperimentazioni più suggestive della storia del calcio: il calcio totale fondato sulla rete di passaggi e sulla transizione immediata affidato a una generazione di giovani di talento. In realtà, la Federazione aveva deciso di virare su un progetto tattico molto pragmatico: sostanza e risultati, con la fantasia come optional.

Luiz Felipe Scolari e Carlos Alberto Parreira
Una loro rinnovata vittoria mondiale è una missione possibile?
In vista di un mondiale che il Brasile non può permettersi di non vincere, la scelta appare comprensibilissima  anche se può non piacere a trisvalide di talento come Zico, che provano a dare alle tendenze in atto una riposta fondata sull’interpretazione della storia. La coppia Luiz Felipe Scolari e Carlos Alberto Parreira, i CT che hanno dato al Brasile le ultime due coppe del mondo, sembra fornire quell’esperienza e quel pragmatismo che altre soluzioni ventilate – Muricy Ramalho e Tite, allenatori di recenti vittorie grazie a un’idea di gioco propositiva e offensiva – potevano alla fine non garantire, anche per un deficit di esperienza che invece dovrebbe essere assicurato dai due ultrasessantenni prescelti [vedi la VQA].

Gli osservatori superficiali sono ancora convinti che l’identità del Brasile futbolistico sia quella del “jogo bonito”, del calcio tutto fantasia, talento e individualità: di giocatori come Garrincha, Pelé, Zico e Ronaldinho, per intenderci. È una bella favola oleografica che piace ai nesci. La storia del calcio brasiliano dell’ultimo mezzo secolo è invece diversa ed ancipite, come ha ben messo in evidenza Tim Vickery [in “The Blizzard”, 6 (2012)]. Da un lato persiste la tradizione del futbol fantasia – risalente alla cultura del “malandro” (l’artista mulatto del raggiro) indagata dal sociologo Gilberto Freyre negli anni trenta [come ricorda Alex Bellos, Futebol. Lo stile di vita brasiliano, pp. 43-44] – che celebra l’epopea del Brasile di Pelé e delle sue tre coppe del mondo in sole quattro edizioni, ha toccato il proprio zenith nel 1970 (con uno degli XI più memorabili della storia) e riconosce nella nazionale del 1982 l’ultimo degno epigono. Dall’altro è sempre più diffusa e legittimata una linea che si usa far risalire al colpo di stato militare del 1964 (di cui, nell’anno dei prossimi mondiali sarà inevitabile ricordare la ricorrenza) e alla politica “tecnocratica” che il nuovo regime cercò di imporre e attuare in tutti settori sociali, compreso il calcio: è infatti a un’idea di calcio organizzato, affidato a un sistema di gioco tatticamente accorto, cui si rifecero le nazionali del 1974 e del 1978, e a cui si devono le vittorie del 1994 e del 2002; è lo stile incarnato da Dunga dapprima come leader in campo e poi come CT della nazionale; è una linea culturale che ricorre all’organizzazione prima che alla fantasia, senza ovviamente rinunciare alla qualità, se ricordiamo come nell’XI del 2002 militassero campioni e talenti riconosciuti come Cafù, Roberto Carlos, Rivaldo, Ronaldinho e Ronaldo. E senza dimenticare – peraltro – che anche per questa via sono arrivate le vittorie [su questi punti vedi anche Jonathan Wilson, “The Guardian”, 14 August 2012].

Questo è dunque il contesto del discorso – tutto brasileiro – che probabilmente intendeva portare avanti Zico con le sue esternazioni. Altra cosa è tornare invece sulla storia del match del 5 luglio 1982 [vedi].

Azor