14 novembre 2013, City of Manchester Stadium, Manchester |
Reso omaggio al realismo paduo di Mastro Gioann, possono essere fatte anche un paio di considerazioni che attengono all'evoluzione delle idee di gioco e alla cultura calcistica del campionato britannico. La prima constata come nel calcio di vertice a livello internazionale stia prevalendo da qualche anno un orientamento a favore del calcio offensivo: "lo spettro del gol che si aggira per l'Europa", come lo ha chiamato Jonathan Wilson [leggi], ascrivendone a padre tutelare Marcelo Bielsa, col suo stile di gioco votato al possesso, "more passing, less tackling", e crescentemente diffuso in giro per il mondo (da Pochettino a Guardiola, da Rodgers a Montella, da Mancini a Pellegrini, agli stessi Prandelli o Benitez, per ricordare solo qualche santone). Stiamo attraversando una fase culturale che, pur senza esprimere estremismi ideologici, ritiene più virtuoso segnare un gol in più piuttosto che subirne uno in meno.
Per le tradizioni del calcio all'italiana è qualcosa, a un tempo, di riprovevole e di difficile acculturazione. Ben altro è il clima, come sappiamo, nella Terra Madre. Dopo le tragedie e le violenze degli anni 1980s, la Premier League si è affermata come il maggiore campionato planetario - quello che guardano tutti - non solo per la cultura ambientale (stadi, tifosi, merchandising etc.) ma anche per la piacevolezza di fondo del gioco espresso, con punte alte di spettacolarità, cui contribuiscono protagonisti provenienti da tutto il mondo, in quella vocazione sincretistica (apertura alla tradizione) di cui è magnificamente capace solo l'eredità imperiale britannica.
Azor