1 dicembre 2014

Alta tensione e simboli antimoderni

Cartoline di stagione: 14° turno 2014-15

Alta tensione in alcune delle partite più importanti o significative giocate nel week-end.

La gestualità polemica e soddisfatta di Sergio Busquets
Al Mestalla, per esempio. Qui il Barça, all'ultima azione, ha vinto una partita che poteva indifferentemente pareggiare o perdere - non sarebbe la prima volta: l'innesto di Suarez procede lento, Messi è sempre più discontinuo, il gioco tutt'altro che fluido e convincente. La maturità di Leo in Catalogna non pare sorridente. Forse le voci che filtrano qualche fondamento ce l'hanno. Dissi, all'indomani dell'attracco di Guardiola a Monaco, che forse si poteva configurare una situazione analoga a quella che, un tempo, portò Michels e Cruijff a Barcellona [vedi]. Vedremo.

Il destro chirurgico di Sant'Andrea da Brescia scuote la rete e lo stadio
Allo Juventus Stadium, per esempio. Qui la Juventus, all'ultima azione, ha vinto una partita che poteva indifferentemente pareggiare o perdere. Infranto il tabù dei derby in bianco, il Toro ha letteralmente gettato il meritato pareggio nella spazzatura, cercando di uscire in palleggio da una situazione di pressing al limite dell'area quando mancavano pochi secondi al triplice fischio - grosso modo, proprio come ha fatto la Roma a Mosca qualche giorno fa. Un tempo, in situazioni analoghe, i difensori buttavano il pallone fuori dallo stadio. Tenuto conto dell'enorme divario tecnico esistente tra le due squadre di Torino, abbiamo davvero visto novanta minuti di dominio tattico granata, che poi l'esito della partita ha evitato ad Allegri di dover spiegare.

Dal canto suo la Roma, dopo l'agitata notte di coppa, ha trovato poca e casuale resistenza in quell'accozzaglia di giocatori stremati e modesti che hanno la ventura di indossare oggi la maglia dell'Inter; a occhio, Mancini avrà bisogno di almeno due anni per rimettere insieme qualcosa che assomigli a una squadra di calcio.

Pedatori disperati cercano consolazione fra le braccia di Kloppo
In Premier e in Bundesliga una vera lotta per il titolo, semplicemente, non c'è. Ma in Germania c'è una situazione anomala, e il tema principale nei prossimi mesi sarà questo: quando uscirà il Borussia dalla sua nerissima crisi? Quando (eventualmente) inizierà a risalire in classifica, e fin dove (eventualmente) arriverà? Il meraviglioso XI di Jürgen Klopp, finalista di Champions due anni fa, anche quest'anno ha aperto la sua bottega di lusso ai miliardari predatori bavaresi. Anno dopo anno, i migliori vanno via, e indovinare i rimpiazzi non è cosa facile e scontata. Oggi il Dortmund è diciottesimo nella classifica a punti dei diciotto club che partecipano al principale campionato tedesco. Cioè, ultimo. Ultimo, e solo. Spero si riprenda, e che le sue scorribande sui campi d'Europa riprendano a febbraio. In ogni caso, anche dovesse finire male, quella regalataci da Kloppo è stata una grande, gioiosa stagione di calcio.

Torniamo in Spagna: brutte notizie (e sorvolo sul tifoso del Deportivo crepato per arresto cardiaco dopo esser stato gettato nel fiume dagli ultras dell'Atletico). Dal simbolo del Real viene scucita la piccola croce che campeggiava in cima alla corona, poiché (si dice) la sensibilità dello sponsor (arabo) non va urtata, non di questi tempi (e chissà per quanti tempi ancora). Del resto, storia e tradizione e antichi simboli sono materiali per romantici ed eruditi, per sentimentali, nostalgici e disadattati, e Florentino (che se non vuole perder la cadrega deve continuare a vincere, mica farsi paladino dell'antimodernismo) ha bisogno di quattrini e non di sentimentalismi, ma per fare quattrini occorre avere una squadra forte e che vinca spesso, e per avere una squadra forte (e che vinca spesso) è necessario attrarre risorse e compiacere gli investitori. La falsariga è stantìa, ogni commento superfluo. Tiremm innanz.

Mans