30 aprile 2013

Sul cambio di stagione

Segnalo ai colti e agli incliti (quorum ego) alcuni interessanti articoli apparsi di recente su varie testate, che forse meritano una lettura non frettolosa. Il tema è quello della settimana che ha forse segnato il cambio di stagione al vertice del football europeo: dall'egemonia spagnola a quella tedesca. Il tenore appare quello di una vera e propria acclamazione del (nuovo) potere.

Visto dagli ex detentori, il vice direttore di "Marca", Santiago Segurola - Il Barça ha bisogno di rigenerarsi. Il Real paga gli errori di Mourinho [leggi] - palesa la "sensazione di incredulità che si è impossessata della Spagna dopo le due sconfitte patite da Barcellona e Real in Germania. Le due squadre più forti del mondo, con 10 degli 11 giocatori inseriti nella formazione ideale stilata dalla Fifa, sono state schiacciate da Bayern e Borussia, perfetti rappresentanti del campionato più sano e meglio gestito al mondo. Stupore e shock hanno fatto da cornice alle analisi successive ai due massacri". Fernando Carreño, commentatore per "Marca" - Madrid, Barça y cambios de ciclo [leggi] - osserva come solo per il "Barcelona se pueda hablar de fin de un ciclo", ma non per il Real, "porque el suyo - el ciclo Mou - no ha llegado siquiera a iniciarse". Sulla sponda catalana, Oriol Domènech del "Mundo deportivo" - Fichajes de manual y más cantera. Heynckes culmina la obra iniciada por Klinsmann y madurada por Van Gaal [leggi] - riflette sui fondamenti del ciclo avviato dal Bayern e culminato nel sorpasso del Barcellona: acquisti azzeccati, vivaio e impianto tattico votato al "fútbol de ataque".

Cambio di consegne?
Su sponda tedesca, Raphael Honigstein - Jürgen Klopp's inspired managing brings to mind the old José Mourinho [leggi] - pone l'attenzione su quella che appare la figura ascendente nel firmamento pedatorio, il giovane Jürgen Klopp: "All of his tactical ideas only work because players listen to him and believe that he's right. Technical skill and individual class aside, much of Dortmund's game is built on good old effort, commitment and "greed," as Klopp calls it: the hunger to eat up that extra kilometer of grass. That sounds simple but it takes an tremendous amount of motivation. Few managers are able to instill that level of devotion in their teams". Il nesso motivazionale è esplicito: "There used to be a young manager who was known for making his teams perform with unparalleled intensity. His name was José Mourinho". Un passaggio di consegne. Ma anche l'ascesa di una popstar, come vena il discorso Asam Shergold - He's the scruffy nerd who once wrote a thesis on the joys of walking ... now 'popstar' Klopp stands on the brink of Champions League glory [leggi] - che ricorda come ormai la Sudtribune del Westfalenstadion sia usa intonare il rap Kloppo, Du Popstar [ascolta].

David Lacey, tra gli osservatori albionici più snob, non può fare a meno di notare - Bayern Munich and Borussia Dortmund face old challenges in new dawn [leggi] - come "the English game may not have noticed, being largely concerned with Luis Suárez and his marauding molars, but there was a coup in European football this week", e lo spiega in termini di risorse finanziarie: "While Bayern would appear to be better placed financially, neither club may be able to resist the sort of offers for their players that might come from Spain or England".

I francesi, invece, che i tedeschi li hanno da sempre alle frontiere e non separati da una manica nebbiosa, riflettono in termini storici, ça va sans dire. Eric Maggiori - L'Allemagne, vraiment une surprise? [leggi] - sottolinea come anche nel decennio appena passato in cui il Fussball non ha vinto alcun titolo, le squadre tedesche siano sempre rimaste altamente competitive, soffiando il terzo posto del ranking UEFA a quelle italiane. Ali Farhat et Maxime Marchon - Aux racines du printemps allemand [leggi] - ripercorrono in breve (con qualche tratto di malcelato sciovinismo) le tappe che hanno riportato il calcio teutonico alla vetta: l'"espionnage industriel en France", "la traversée du désert", il mix multietnico "Black-blanc-turc". Qualcosa di normale quando "on parle d'un peuple en guenilles en 45 et aujourd'hui au sommet de l'Europe. Un peuple capable de se relever des pires humiliations, mêmes sportives".

Chi attacca e chi difende?
L'anlisi si fa più tattica, ovviamente, con "sir" Jonathan Wilson che alla vigilia di Bayern vs Barcelona - Pep past v Pep future in a Pep-less present [leggi] - si interrogava sulla possibilità che il "meeting of two great sides of the age" potesse segnare "the transition from one generation to the next", avvertendo come fosse importante tuttavia "not to be drawn into the cliche of physical Germans against technical Spaniards, even if Bayern do have a slight physical edge. What will be fascinating is seeing not only the two best possession teams in Europe facing off, but also the two best pressing sides. Barcelona's players will never have been placed under such co-ordinated pressure on the ball as they are likely to be on Tuesday – and vice-versa". Il giorno dopo la domanda appare evidente - Will the football world now follow Bayern's method rather than Barça's? - e la risposta chiara [leggi]: "Tiki-taka is not dead but Tuesday's game showed the centre of New Total Football has moved from Barcelona to Munich". Se è vero che "Bayern's demolition of Barça last night certainly had the sense of a game that changed the order of things", Wilson osserva come lo stile di gioco dei tedeschi "is itself based on similar principles, on control of possession and winning the ball back high up the pitch – themselves core tenets of Total Football, which has underpinned Barcelona's football since Rinus Michels moved there from Ajax in 1971. The German variant of the philosophy, which eschewed pressing, underpinned the successes of Bayern and Borussia Mönchengladbach in the seventies. The two came together as Jupp Heynckes, who played for Gladbach, succeeded Louis van Gaal, who had taken his modernised version of Total Football from Ajax to Barcelona in 1997, at Bayern two years ago". Dunque "there is a reason they have appointed Guardiola as their manager next season. The era of the New Total Football continues, it's just that its centre has moved from Barcelona to Munich".

Arrigo Sacchi - Questo Dortmund ci dice che il gioco non si compra [leggi] -, come spesso è aduso, parla a nuora perché suocera intenda: "la vittoria degli uomini di Klopp dovrebbe far capire a tutti che si può essere competitivi anche con bilanci corretti e con una squadra di ragazzi o sconosciuti acquistati con pochi euro, allevati e cresciuti attraverso le idee e quello straordinario moltiplicatore che è il gioco". Il suo è un omaggio orwelliano non alla Catalogna ma a "un calcio sontuoso, generoso, collettivo, bello, divertente e vincente" come quello del Borussia guidato da Jürgen Klopp: "un gruppo che si esalta nell’interpretazione del calcio totale nonostante una qualità tecnica individuale non elevata. Lavoro, idee, gioco, organizzazione, innovazione e rinnovamento sono i presupposti fondamentali per spendere poco, avere risultati eclatanti e far crescere i vari Lewandowsky, Reus e Goetze del futuro".

Le grandi firme del nostro giornalismo partecipano dell'ammirazione collettiva. Gigi Garanzini videocommenta estasiato - Si chiama Bayern il nuovo Barça [vedi] - la prestazione del Bayern e constata l'impotenza del Barça. Incisivi, come sempre, i camei di Roberto Beccantini: "Credo che a Monaco sia finito il secolo breve, ma straordinario, del Barcellona. Il Bayern lo ha letteralmente spolpato" - Ei fu [leggi] -; "Borussia-Real è stata ancora più bella di Bayern-Barcellona, perché il Borussia ha stappato calcio-champagne ai cento all’ora. Due partite, due lezioni. Mourinho chiedeva «giustizia» per il suo Real: ha avuto la ghigliottina, feroce ma imparziale, del campo" - Sfuggito ai radar [leggi].

Capelli bianchi e pugni in faccia
Mario Sconcerti - Mourinho, il tecnico che deve reinventarsi [leggi] - si concentra infine sul grande perdente di questa svolta epocale, di cui non è riuscito a essere parte: "a Dortmund ha preso davvero un pugno in faccia, il suo calcio non c'è stato, non è nemmeno cominciato. Sembrava il vecchio Real miliardario e senza direzione degli anni Sessanta, una squadra quasi dilettantesca dove Cristiano Ronaldo sembrava l'unico che avesse studiato.Naturalmente si può perdere, lo ha appena fatto anche il Barcellona. Ma il Barcellona sta chiudendo un'epoca, Mourinho chiude qualcosa che non è mai cominciato. Per vincere a Madrid non serve un motivatore esasperato, bisogna insegnare calcio. E questa non è la specialità di Mourinho. Lui il calcio lo piega ma non lo inventa. È ora che si vedrà la prossima grandezza dell'uomo, da come saprà ricominciare ad allenare, da quanto saprà privilegiare il calcio rispetto all'energia del rancore. Al Real macerie così grandi alle spalle sono riusciti a lasciarsele in pochi".

Azor