10 marzo 2012

Emozioni

Tu chiamale, se vuoi, emozioni, cantava il bardo. Confesso che quando sentii parlare per la prima volta di storia delle emozioni ebbi una reazione come quella del rag. Fantozzi dopo l'ennesima proiezione della "Corazzata Potemkin". Mi sono però ricreduto. Oggi è il tempo delle emozioni, nelle pratiche storiografiche e nelle pratiche sociali. Gli esperti ci dicono che emozioni e rappresentazioni delle emozioni coincidono: cioè le fonti che le accertano sono inscindibili dall'atto fisiologico; per questo esprimerle in pubblico significa innanzitutto un atto mediatico. Detto "all'amatriciana". La pubblicità della Sony che inframezza le partite di CL è la perfetta sintesi del momento: orde di tifosi congelati in istantanee tridimensionali alitano tutta la gamma delle loro emozioni sugli spalti: la disperazione, la gioia, la stizza, la rabbia, le lacrime.

Ecco, le lacrime: "Stabat Mater dolorósa. Iuxta crucem lacrimósa". Milioni di bit di studi dedicati alle lacrime nella pittura occidentale. Uno dice: sì, va beh, invenzioni dei pittori, nella realtà mica era così, o, se lo era, lo era perché nel passato la gente non sapeva controllare le proprie emozioni. Mica vero. Piangevano i re e le regine, mica solo le Madonne. E piangevano strategicamente, a comando, come atto politico (i raffinati direbbero "performativo": ulllalà). Un altro dice: si, va beh, roba del passato. Mica vero. Piange la Fornero per i pensionati; piange Napolitano nel giorno della memoria; piange Marchionne per i bilanci della FIAT; piange Dell'Utri per l'assoluzione; piange Putin per averlo messo in tasca un'altra volta ai suoi compatrioti; piangono tutti e non solo Antonella Elia (l'indimenticata partner di Raimondo Vianello in una delle migliori edizioni di "Pressing") perché ha eliminato Valeria Marini all'isola dei famosi. Piangono tutti e non più solo in privato. Piangere fa bene perché lascia sfogare le tensioni, dicevano le nonne.

Pertanto non facciamola tanto lunga sulle lacrime e gli occhi rossi di Claudio Regolo. Non ci resta che piangere anche noi.

Azor