30 giugno 2014

Nell'inverno del Nordeste

Cartões Postais do Brasil

Fortaleza. Il pomeriggio qui è ancora lungo e Luigi van Gaal medita tra sé e sé quale mossa azzardare (foto): accendere il tablet e prenotare un volo diretto per Manchester e buttare via tutto questo armamentario irrisorio di schemi e di appunti oppure aspettare qualche minuto per capire se Sneijder e Robben hanno voglia di restare in Brasile ancora un'altra - minimo - settimana?

I due manifestano l'intenzione di continuare a godersi il relativo inverno del Sudamerica, e così per l'ennesima volta El Tricolor non scavalca le transenne degli ottavi di finale. Non c'è verso. Sembrava davvero che l'impresa fosse vicina, mancavano solo un paio di minuti al novantesimo, la strepitosa Olanda della prima fase si stava squagliando sotto il sole cocente del Nordeste. Gente grossa e pesante, nordici che hanno sempre patito queste condizioni metereologiche. A loro agio erano gli ossuti e leggeri Guardado e Aquino, Aguilar e Salcido, desperados redenti e guidati (in campo) dall'elegante, aristocratico Marquez, in panca dal sanguigno Herrera. Proprio Herrera - inesperto a questi livelli - escogita la mossa che tiene in vita gli olandesi. Più che in vita, li tiene a ridosso dell'area. Togliere una punta e aggiungere un centrocampista, togliere un centrocampista e aggiungere un difensore centrale significa chiamare il nemico a ridosso delle mura, e la città è perciò più difficile da difendere. Consentire a Robben ripetuti uno contro due appena fuori dell'area di rigore è, di questi tempi, un suicidio. Così è andata. Dall'uno a zero all'uno a due in un amen, senza l'agonia di supplementari e penalties. La vecchia Europa tira un sospiro di sollievo, vedendo una delle proprie bandierine resistere all'impetuoso vento dell'America.

Recife. Il secondo tempo è iniziato da poco e Oreste Karnezis, portiere della Grecia, sa bene che non sarebbe il caso di nascondersi nel lungo cono d'ombra proiettato da Socrate Papastathopoulos, non essendovi alcun bisogno di spalancare tre quarti dello specchio di porta e lasciarlo così incustodito ed esposto: Ruiz se ne accorge e vince una specie di scommessa del barattolo (foto), "la metto a uscire proprio là nell'angolino, sì la palla deve girare e girare, a uscire a uscire, ma non uscirà, e lenta lenta finirà in buca. Oreste hai perso la scommessa, mi paghi la birra e l'orario degli aerei in partenza per San José puoi anche metterlo in qualche posto che sai".

La Grecia ha difficoltà a cucire efficaci manovre d'attacco. Rumina con insistenza, ma non trova sbocchi. La aiuta Oscar Duarte, possente difensore centrale del Bruges, che colleziona due cartellini gialli, si mette d'accordo con l'arbitro e glieli rende, scambiandoli con uno rosso e togliendosi dai piedi; la sua assenza in area si vede e si sente, Fernando Santos scaraventa in campo tutti i centravanti di cui dispone, è l'ora dell'assedio, o la va o la spacca, tanto più che Campbell ormai non riesce più a tener palla e nessuno va a dargli man forte - anche se è calata la sera, nel Nordeste l'ossigeno è poco e razionato. Siamo ormai vicinissimi al novantesimo e un tiraccio di Socrate (sempre nel vivo del plot) sembra improvvisamente destinato a ribaltare la partita. L'armata ellenica è in superiorità numerica e deve stare sul pezzo, ma non è il suo karma; è tutta gente che si trova meglio alle Termopili che nella metà campo degli avversari. Sicché, quando il centravanti dall'orrenda barba (Costantino Mitroglu), all'ultimo istante del secondo tempo supplementare, riceve un magnifico pallone e da due passi lo colpisce (di destro, ma lui è mancino) nel più maldestro dei modi possibili, tutto appare improvvisamente chiaro. E' chiaro che vinceranno i Ticos. E' chiaro che voleranno nei quarti di finale, che segneranno un calcio di rigore in più degli altri o ne sbaglieranno uno di meno, e infatti non ne sbagliano nemmeno mezzo, sicché al penultimo giro tutta la Grecia si ammassa sul groppone di Theofanis Gekas, classe 1980. Se sbaglia è finita. Lui lo sa e il suo sguardo lo dice. Ha avuto paura.

Mans