12 giugno 2012

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L'omaggio a Валерій Васильович Лобановський
presso il Valeriy Lobanovskyi Dynamo Stadium di Kiev
Diceva Brera Giovanni che il fútbal va interpretato coerentemente alle caratteristiche etnostoriche. Non è proprio la stessa cosa, ma è evidente che l’anarchismo stirneriano del teppista bosgnacco (Zatlan, secondo la moderna traslitterazione di Ggianni Bbezzi da Torpignattara) non giova, a conti fatti, alla socialdemocrazia calcistica svedese: che, non a caso, i più grandi talenti li ha espressi in gente per natura portata a mettersi al servizio della squadra. Circumnavigato da Sheva sul gol del 2-1, l’Unico ha schiumato rabbia per gran parte del secondo tempo: ma anche la sberla dal limite respinta in bagher da P’jatov mi è parsa più lo sfogo del malmostoso che la reazione del fuoriclasse. L’Ucraina ha giocato un calcio archetipico: ogni volta che ripartiva negli spazi, scattavano nelle pianure alluvionali della memoria tutte le Dinamo Kiev più belle che ho visto, come in un cineografo; Sheva era Blokhin, e in panca il vecchio Oleg era un Valeri Lobanovski un po’ più espansivo (disèmm). Rincaro la dose: quando i ragazzi in giallo rubavano palla e ripartivano, ripartiva la cavalleria cosacca, a folate. Del resto, l’Ucraina dice male agli svedesi da Poltava in avanti.

Alviero