29 giugno 2012

Che cosa abbiamo sbagliato?

Mi scrive un amico teutonico: "I tedeschi si domandano: che cosa abbiamo sbagliato? Io direi: non si vince prevedendo e progettando tutto". In effetti, il programma quadriennale della Deutscher Fußball-Bund (la più grande del mondo con i suoi sei milioni di iscritti: il doppio degli abitanti dell'Uruguay, ed è un dato impressionante), per la rappresentativa maggiore, aveva ipotecato sicuramente il titolo europeo e (perlomeno) una finale mondiale. A coronamento di un progetto avviato tempo fa, un lavoro sistematico sui settori giovanili che li ha portati a grandi risultati nei tornei di categoria. Ma 'programmare' le vittorie nel calcio 'vero' è comunque più difficile; costruire grandi squadre sulla base di piani seri e lungimiranti è di certo possibile, ma riuscire a progettare le vittorie è un'altra cosa. Il calcio non è il nuoto o l'atletica; e neppure il basket o il volley. O il tennis. Una squadra vincente ed epocale non è semplicemente il frutto di una grande organizzazione di base (fosse così, loro vincerebbero sempre, e noi mai), ma combina diversi ingredienti, non ultimo quello del talento - del grande talento - di un gruppo di giocatori. E il talento (nei piedi e nella testa) non nasce in laboratorio.

"Der Bomber" e "Der Kaiser".
Con loro in campo sarebbe andata diversamente, a Varsavia?
La Germania vinse in sequenza europeo e mondiale, 1972 e 1974. C'è fra i pedatori a disposizione di Gioacchino Manicarrotolata qualcuno che, nel calcio di oggi, significhi quel che significavano Beckenbauer e 'Der Bomber' nel calcio di allora? Chiaramente no. C'è un buon gruppo, privo di fuoriclasse. Un gruppo che ieri ha mostrato anche poca personalità e una conduzione incerta, ciò che alcuni (leggo) imputano alla scarsa esperienza (ma il ragionamento non mi convince). La Germania avrebbe potuto vincere questo torneo; avesse trovato l'Inghilterra e non noi, per esempio. Ma ha trovato noi; e tutto si potrebbe ridurre a una banale considerazione: se non ci battevano con Beckenbauer e Muller, come potevano pensare di farlo con Podolski e Schweinsteiger? Una tradizione, peraltro, non si costituisce per puro capriccio del caso. Eupalla ha sempre guardato con neutralità le nostre storiche sfide: all'Azteca poteva vincere chiunque, a Madrid non eravamo battibili, a Dortmund eravamo semplicemente più forti. A Varsavia il confronto doveva essere, sulla carta, perlomeno equilibrato. Ho rivisto la partita, nel primo pomeriggio: se una domanda ci si può fare, riguarda solo il numero di palloni che Neuer ha dovuto rispedire a centrocampo. Perché così pochi? Potevano e dovevano essere molti di più. Il dato storico è evidente, e nessuno può più ridurlo a una dimensione semplicemente statistica. Al mio amico teutonico ho dunque risposto con molta semplicità: "italiani e tedeschi interpretano il gioco in maniera diversa; quella degli italiani è una maniera che i tedeschi non hanno mai imparato a prevedere e a contrastare".